Risarcimento del Danno
La responsabilità aquiliana
Il codice civile fornisce una descrizione della responsabilità aquiliana non in termini soggettivi (cioè basati sulla figura dell’autore del fatto), bensì oggettivi e cioè descritta come quella responsabilità che insorge a seguito di fatto illecito che a mente dell’art. 2043 c.c. è “qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altro un danno ingiusto”.
Quindi, dal compimento di un fatto illecito deriva l’obbligazione risarcitoria se ne sia derivato un danno ingiusto.
Il codice individua altresì una serie di ipotesi in cui il fatto dannoso pur se voluto non sia fonte di responsabilità: legittima difesa, stato di necessità, incapacità, e così via.
L’evento illecito che provoca un danno, fonda il titolo per il risarcimento dei danni, sempreché il danneggiato riesca a provare il danno subito, la condotta illecita, il nesso di causalità fra condotta e danno.
Il danno può essere patrimoniale, è allora evidente che sarà da ristorarsi nella stessa misura in cui esso sia stato patito. Ovvero può essere non patrimoniale, ossia il pregiudizio inferto agli interessi di natura personale del soggetto. Spesso le nozioni di danno non patrimoniale e di danno alla persona vengono considerati sinonimi. Tale equiparazione è però fuoriviante, giacchè non ogni tipo di danno inferto alla sfera personale del soggetto è risarcibile.
Tipicamente i tre “danni” non patrimoniali risarcibili sono quello morale, quello biologico, e quello derivante dalla violazione di diritti fondamentali.
Non ogni fatto illecito però fonda automaticamente la risarcibilità del danno morale o di quello biologico.
Sarà da valutare caso per caso quali siano i danni, patrimoniali e non, risarcibili nel caso concreto. Un avvocato civilista del Nostro studio può guidarvi in questa valutazione.
Il risarcimento del danno da reato
L’art. 2059 c.c. pone delle strettorie al risarcimento del danno non patrimoniale attesa la tipicità dei casi in cui è ammessa tale tutela, tra i quali spicca anche per frequenza applicativa l’ipotesi di reato.
Ogni fatto di reato quale fatto illecito permette il risarcimento del danno non patrimoniale e la tutela esperibile può avere natura civilistica, con l’instaurarsi di un giudizio civile e dunque utilizzando i mezzi istruttori delineati dal c.p.c., oppure nell’ambito di un processo penale tramite la cosiddetta costituzione di parte civile, per le cui caratteristiche si rimanda alla pagina dedicata.
Ingiuria e risarcimento del danno
Un fatto illecito tipicamente risarcibile è quello derivante dall’ormai abrogato reato di ingiuria.
L’ingiuria era, prima dell’abrogazione, il reato previsto dall’art. 594 c.p., a mente del quale:
« Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino ad euro 516. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino ad un anno o della multa fino ad euro 1.032, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone. »
Ed è, pertanto, spesso stato perseguito in sede penalistica. Con una rapida riforma del sistema penale il legislatore, nel corso dell’anno 2014, ha emanato una delega legislativa al parlamento per l’abrogazione di suddetto reato. Le corti di merito, pertanto, si trovano in una situazione di stallo: il reato formalmente persiste, ancorché sia chiara e manifesta intenzione del legislatore procedere alla sua abrogazione.
Per non incorrere in problematiche processuali, è allora da valutarsi la possibilità di procedere in sede civilistica per il predetto reato che – dopo l’abrogazione – rimarrà comunque un illecito civile rilevante per l’ordinamento giuridico.
La tutela civilistica
Seppure non manchino solidi punti di riferimento storici, è solo in tempi relativamente recenti che nel nostro ordinamento ha trovato riconoscimento generale la ricostruzione in chiave civilistica dell’interesse del soggetto nel proprio onore e nella propria reputazione.
L’onore attiene alla sfera psichica del soggetto e consiste nel sentimento che egli ha del proprio valore e che viene leso da quegli addebiti o quelle offese che alterano in senso peggiorativo l’auto-percezione. La dimensione civilistica dell’onore è quindi differente da quella dominante nel campo penale, non fosse altro perché la tipicità della disposizione penali fissa in misura più rigida la consistenza del bene tutelato. La concezione civilistica invece è svincolata da parametri “medi” di onorabilità e rispettabilità e si caratterizza per una maggiore ampiezza poiché ricomprende molteplici aspetti della personalità.
Tali aspetti sono riassunti nella centralità della persona umana nel nostro sistema costituzionale e sovra-nazionale: la genesi ed il contenuto dell’art. 2 Cost. sono inequivoci sul punto, assurgendo l’onore e la reputazione a <<diritti inviolabili>> dell’uomo. In tal senso militano poi i numerosi atti e convenzioni internazionali ratificati dall’Italia che prevedono espressamente il diritto all’onore ed alla reputazione (Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, e da ultimo l’art. 1 della Carta Fondamentale dei Diritti dell’Unione Europea).
La quantificazione del danno
Sul punto della quantificazione del risarcimento del danno non patrimoniale, peraltro, va menzionato il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui “la liquidazione del danno morale conseguente alla lesione dell’onore o della reputazione, allo stesso modo di quanto è previsto per ogni altro risarcimento del danno per fatto illecito, è rimessa alla valutazione del giudice e sfugge necessariamente ad una precisa valutazione analitica, restando essa affidata al criterio equitativo […]”.
I parametri comunemente utilizzati sono quelli della gravità dell’addebito, della sua evidenza, della qualità del soggetto offensore e di quello leso, nonché – infine – l’incidenza sulla vita di relazione (Cass. Civile, sez. III, 3/12/2007, n. 25171).