Indagini comparative
I servizi giornalistici che presuppongono o diffondono verifiche delle caratteristiche qualitative di un prodotto o prodotti fra loro fungibili (c.d. indagini comparative) sono atti idonei a determinare la lesione della reputazione economica dell’imprenditore.
La pubblicazione di indagini comparative, se fatte da soggetti estranei al rapporto di concorrenza – per esempio i giornalisti – deve essere intesa come strumento di formazione di coscienza dei consumatori ed essere ricondotta nell’alveo della previsione di cui all’art. 21 Cost.. In altre parole, perché la pubblicazione delle indagini comparative sia lecita e non produca responsabilità civile in capo al giornalista o alla testata, si dovrà trattare di informazione economica disinteressata, volta ad esplicare una funzione di utilità sociale della notizia secondo una corretta forma espositiva, e risultati di indagine che siano stati verificati da esperti e/o con serietà scientifica.
La responsabilità civile sorgerà pertanto nel caso in cui la scientificità del metodo, dell’esecuzione dei test e dei risultati venga a mancare. Ovvero, nel caso in cui il risultato dei test scientificamente condotti, sia poi riportato in modo ingannevole o arbitrario.
Va altresì detto che in tema la giurisprudenza penale ha escluso la configurabilità del reato di diffamazione poiché il bene tutelato dalla norma penale (onore della persona) non è riscontrabile in caso di indagini comparative su prodotti. E neppure può ritenersi che la lesione dell’onore del prodotto possa poi riflettersi sull’imprenditore, atteso che nella percezione del consumatore il prodotto non si identifica direttamente con l’imprenditore, bensì col marchio di fabbrica.
In definitiva, piena liceità per le pubblicazioni di carattere scientifico-informativo che presuppongano la comparazione fra diversi prodotti della medesima categoria, anche se tratteggino disfunzioni o vizi del prodotto – purché i test siano eseguiti secondo metodologie precisamente verificabili. Diverso discorso, invece, per la pubblicità comparativa che, se riassume in sé le caratteristiche dell’ingannevolezza e della comparazione, rientra nell’ambito della concorrenza sleale.