Furto e appropriazione di cose smarrite

Furto e appropriazione di cose smarrite

05 Gen 2014

Brevi note a Cassazione Penale, sezione II n. 2482/2013

La sentenza in commento conferma il più recente orientamento della Corte in relazione al reato di cui all’art. 647 c.p., secondo cui sussiste il delitto di furto e non quello di appropriazione di cose smarrite tutte le volte in cui, come nel caso di specie – trattandosi di assegno bancario dal quale poteva risalirsi agevolmente al titolare del conto corrente-  il bene conservi i segni evidenti del legittimo possesso altrui.

Classicamente, secondo la Suprema Corte, da un’analisi degli elementi costitutivi della figura di reato in parola, non si può parlare di smarrimento nel caso in cui la cosa possa essere rintracciata con relativa facilità da parte del proprietario, oppure la stessa rechi un segno distintivo o una indicazione che ne riveli il proprietario.

Approfondendo:

Ai fini della configurabilità del reato p. e p. dall’art. 647 c.p. è necessario che il legittimo proprietario/detentore al momento dell’appropriazione si trovi nell’impossibilità di ricostruire sulla cosa il primitivo potere di fatto per ignoranza del luogo ove la stessa si trovi. Così, dovendosi escludere il reato di appropriazione di cosa smarrita se il proprietario possa rinvenire la cosa a seguito di uno sforzo di memoria o una ricerca mirata nel luogo in cui l’ha lasciata.

In altre parole, affinché ricorra tale figura criminosa sarà necessario che oggetto diappropriazione sia una cosa smarrita e non una cosa semplicemente dimenticata, ricorrendo invece in quest’ultimo caso il reato di furto. Facendo applicazione di questo principio, peraltro, il Tribunale di La Spezia con decisione del 26 ottobre 2009 condannava gli imputati per il furto di un portafogli lasciato in un autogrill, sul presupposto che immediatamente l’automobilista era rientrato nello stabile alla ricerca del borsellino che ricordava di aver lasciato accanto alle casse.

Ancora, nel caso in cui il bene rechi segni o indicazioni che permettano di risalire al legittimo proprietario alla cosa non potrà essere attribuita la qualità di cosa smarrita, permanendo comunque un vincolo (esteriormente percepibile) fra il proprietario ed il bene.

Tale secondo orientamento, confermato dalla sentenza in parola, è stato però messo in discussione da una serie di precedenti (invero alquanto discutibili) della Suprema Corte.

Si legge, infatti, nella pronuncia del 2 maggio 1997 n. 5844 (poi confermata dalle sentenze n. 3646 del 1999 e n. 12922 del 2003), che l’assegno bancario andato disperso deve considerarsi cosa smarrita a prescindere dai segni esteriori percepibili dall’agente.

Secondo la Corte, infatti, non sarebbe possibile ritenere comunque esistente il possesso altrui al momento della lesione sul mero presupposto di segni distintivi che consentano di risalire al proprietario del bene.

Tale orientamento, affermando comunque la sussistenza del reato ex art. 647 c.p., prescinde però da due dati essenziali: il primo è l’atteggiamento psicologico del reo che, nella condotta appropriativa, abbia contezza dell’altruità della cosa – così venendosi ad elidere la rilevanza accertativa (ed applicativa) del dolo di furto.

Secondariamente si viene altresì a negare rilevanza anche alla definizione di cosa smarrita come quella “rispetto alla quale il possessore non ha di fatto alcun rapporto o potere, materiale o psicologico” (Cass. Penale, sentenza n. 23626 del 2011). Non si può infatti affermare che l’assegno bancario recante segni distintivi del correntista perda il suo legame originario col proprietario, una volta materialmente smarrito.

 In conclusione, pur dovendosi rivenire precedenti difformi nella giurisprudenza di legittimità, la decisione in commento pare prendere le mosse da una corretta analisi sia della definizione di “cosa smarrita”, nella quale non può rientrare l’assegno bancario materialmente riconducibile ad un conto corrente/correntista facilmente individuabile, sia dell’elemento psicologico del reo durante la condotta appropriativa attribuendo la corretta rilevanza alla possibilità per lo stesso di tracciare un legame fra la cosa ed un particolare soggetto.