Assunta nel centro massaggio solo se disposta a compiere atti sessuali
14 Mar 2023
Secondo la Corte d’Appello di Brescia, non ricorre il reato di violenza sessuale
Il caso
Una giovane ragazza rispondeva ad un annuncio come massaggiatrice presso un centro massaggi della provincia. Dopo un primo colloquio telefonico con una donna qualificatasi come segretaria che le aveva prospettato il tipo di massaggi che avrebbe dovuto praticare (body massage, massaggi tantra, massaggi sessuali) aveva avuto un secondo colloquio telefonico col titolare, che le aveva dato un appuntamento presso il centro.
In quella sede l’uomo, che si era mostrato molto educato e disponibile, aveva lasciato intendere alla giovane che i massaggi da rendersi ai clienti del centro avevano delle connotazioni sessuali, e che si sarebbero dovuti concludere con rapporti orali o masturbazione, se richiesto dai clienti.
Avevano così fissato un secondo incontro, a cui la giovane ragazza, in ragione delle difficoltà economiche che stava attraversando la sua famiglia, aveva partecipato. L’incontro era stato fissato, a dire del datore di lavoro, per “testare la sua manualità”. In tale occasione l’uomo riferiva alla ragazza che sarebbe stata assunta con paga fissa per il massaggio, e che se avesse poi voluto acconsentire all’extra richiesto dal cliente, l’importo percepito sarebbe spettato a loro. Dunque le aveva chiesto una prova.
La condotta sessuale
La ragazza volontariamente accettava, riferendo in primo grado che fosse “consapevole di aver accettato una condizione”, tuttavia in occasione del massaggio l’uomo in modo molto repentino tentava di palpeggiare la ragazza, e le ordinava di praticargli un rapporto orale altrimenti non l’avrebbe assunta, al contempo le suggeriva di accettare viste le disagiate condizioni economiche. A seguito dell’episodio, la ragazza era pagata dall’uomo € 50,00, ma i due poi avevano un diverbio in quanto l’uomo la aveva accusata di avergli rubato del denaro mentre lui era distratto. A quel punto l’assunzione non si era più perfezionata, e la ragazza aveva sporto querela.
La condanna in primo grado per la violenza sessuale
Secondo il Tribunale di primo grado, ricorreva il reato di violenza sessuale in quanto la condotta materiale del delitto non richiesd che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma è sufficiente che la volontà risulti coartata.
In particolare, il delitto di violenza sessuale sussiste anche solo se il rapporto non voluto dalla persona offesa sia consumato anche solo profittando del suo stato di diminuita resistenza, come nel caso di specie, quando l’imputato aveva minacciato la vittima di non assumerla laddove non avesse praticato un rapporto orale all’uomo. Approfittando, altresì, della sua disagiata condizione economica, ed ingenerando in lei anche il timore di poter subire ben più grave violenza in quanto si trovava da sola nel centro massaggi in orario serale.
Infatti, in tema di violenza sessuale, l’abuso di autorità costituisce insieme alla violenza o alla minaccia una delle modalità di consumazione del reato e ricomprende ogni tipo di supremazia di natura privata di cui l’agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali.
I motivi dell’assoluzione in secondo grado
La Corte d’Appello di Brescia (sez. I, sentenza 28.3.2022 n. 720), tuttavia, riformava la sentenza impugnata, ritenendo che la condotta, per quanto riprovevole sotto il profilo etico, non integrava il reato contestato, non potendosi qualificare come una minaccia, valorizzabile ai fini del reato.
Infatti, sebbene sarebbe sicuramente integrato il reato in caso di minaccia di licenziamento in caso di mancata sottoposizione alla condotta sessuale; nel caso di specie il ragionamento è stato svolto al contrario. La giovane avrebbe ottenuto un vantaggio se si fosse prestata al rapporto sessuale, senza che alcun male ingiusto le sia stato prospettato. Ciò a magigor ragione in quanto la p.o. era a conoscenza che la sua presenza presso il centro massaggi era finalizzata ad una “prova”, e che la stessa aveva dichiarato di essere stata consapevole di quanto stava facendo.
La Corte d’Appello pertanto assolveva l’imputato dal reato contestato.