LUCA VARANI, l’omicidio strumentalizzato contro i LGBTQI
28 Feb 2020
Di Giorgia Aimeri
L’omicidio di Luca Varani strumentalizzato a danno della comunità LGBTQI
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Era il 4 marzo del 2016 quando nella periferia di Roma Luca Varani (23 anni) venne torturato e ucciso.
107 le ferite inferte al corpo di Luca.
Gli strumenti di tortura: un martello dato sulla testa e sulla bocca del ragazzo, una lama con cui gli è stato segato il collo, un laccio con cui gli è stato stretto, un coltello per fare male.
Gli assassini: Marco Prato (noto organizzatore di serate gay-friendly, si è tolto la vita in carcere) e Manuel Foffo (condannato a 30 anni).
I giudici della Corte d’Assise del Tribunale di Roma (nella sentenza del 10 luglio 2018) scrissero: “un esercizio atrocemente compiaciuto e ripetuto di violenza sadica, un disegno perverso che prevedeva il raggiungimento del piacere personale attraverso l’inflizione di sofferenza a una vittima”.
Cosa accadde: Prato è con Foffo, hanno passato la sera a consumare cocaina e bere, quando decidono di scrivere un sms a Luca in cui lo invitano a casa. Luca arriva, i due lo drogano e lo torturano fino a ucciderlo.
Le motivazioni nella sentenza della corte di Cassazione (n. 33559/2019)
“Prato stava perseguendo la sua ossessione di avere rapporti sessuali con soggetti che si qualificavano come etero”, mentre “Foffo stava vivendo in modo fortemente conflittuale la sua omosessualità”. Dove lo stesso Foffo dichiara che volevano “uccidere qualcuno per vedere l’effetto che fa”.
Tra le ipotesi anche quella secondo cui Varani avrebbe rifiutato un rapporto a tre con i due, e per questo motivo sarebbe stato ucciso. Ad avallare la tesi alcuni link e commenti sulla pagina facebook del giovane contro le unioni civili e gli omosessuali.
Il processo mediatico che l’omicidio di Varani portò con sé aprì le porte della strumentalizzazione del caso ai danni della comunità LGBTQI.
i giornalisti parlarono di “festini gay”, si interessarono dell’orientamento sessuale della vittima e degli assassini stessi. A nulla rilevando che anche (e soprattutto) nella società eterosessuale, gli omicidi di genere sono purtroppo all’ordine del giorno.
Il giornalista Mario Adinolfi, ideatore del movimento “No geneder nelle scuole – Popolo della famiglia”, nonché in prima linea nel Family Day, arrivò perfino a ipotizzare che, dato che la vittima era eterosessuale e gli assassini gay, si trattasse di omicidio a sfondo eterofobico.
Mario Adinolfi e chi sposa le sue tesi, dimentica che a uccidere sono in maggioranza gli uomini, quelli stessi assassini che i giornalisti non specificano essere “etero”, eterosessualità che viene vista come normalità sottintesa. Quegli stessi uomini che trascurano, tradiscono, maltrattano e uccidono donne che dicono di amare.
Tra le persone LGBT esistono assassini, ma allo stesso modo in cui esistono tra gli eterosessuali, gli omicidi non hanno orientamenti sessuali, caratteristica di persone e non di atti, l’omicidio ha moventi e a quelli è bene attenersi.