Mobbing e maternità
12 Feb 2021
di Elisabetta Trecani
Un particolare fenomeno di mobbing (per saperne di più) è il mobbing post-maternità. Spesso, purtroppo, le madri di rientro dalla maternità sono particolarmente soggette a comportamenti mobbizzanti da parte dei colleghi o dello stesso datore di lavoro.
In particolare, le ricadute maggiori riguardano le mansioni e il ruolo occupato dalla madre lavoratrice.
La tutela delle mamme contro il mobbing
Il D.lgs. n. 145/2005, o legge delle mamme, tutela la maternità e garantisce alle lavoratrici madri il diritto al mantenimento del ruolo e della mansione al termine del congedo di maternità. Molto più spesso di quanto di possa pensare però le neo-mamme lavoratrici subiscono reiterate condotte che hanno l’intendo di indurle alle dimissioni. Un’inchiesta dell’Espresso ha dimostrato quanto sia grave la situazione italiana.
Le condotte tipiche del mobbing Post Maternità
Tra le condotte più utilizzate vi sono il trasferimento della lavoratrice in una sede lontana, il negare o il “far pesare” la richiesta di permessi per la malattia del bambino o per l’allattamento, delle contestazioni pretestuose (che quasi sempre si rivelano essere infondate) e immotivati rimproveri o sanzioni disciplinari.
Cosa può fare la lavoratrice madre?
Dal momento che lo Statuto dei Lavoratori, la Legge n 300/70, riconosce in capo al datore di lavoro un obbligo di tutela e di sicurezza sul lavoro, al quale va aggiunta anche la disciplina dell’articolo 2087 del Codice Civile che disciplina e sanziona i comportamenti mobbizzanti, la lavoratrice madre ha il diritto di richiedere immediatamente un risarcimento patrimoniale e non, quindi anche biologico, per i comportamenti mobbizzanti subìti dai colleghi o dal datore di lavoro stesso. Spesso infatti tali condotte, determinano l’insorgere di patologie psico-fisiche che si manifestano tramite attacchi di panico, attacchi di ansia o depressione. Di conseguenza, all’insorgere della lesione psico-fisica sorta, sorge anche un contrapposto diritto di risarcimento della lavoratrice.
La lavoratrice deve però dimostrare tali comportamenti e, in particolare, il carattere mobbizzante degli stessi comportamenti dimostrando: il comportamento mobbizzante, il danno psico-fisico subito e, infine, il nesso eziologico tra le condotta denunciate e il pregiudizio subìto.
L’onore della prova, incombendo sulla vittima, risulta particolarmente pesante, per questo è la legge ammette che le prove che devono essere portate dalla lavoratrice a dimostrazione della sua richiesta, possono essere anche solo presuntive, ossia delle prove indirette dalle quali può discendere la dimostrazione della il carattere mobbizzante e vessatorio della condotta.