La pubblicazione di atti di indagine da luogo a diritto al risarcimento?

La pubblicazione di atti di indagine da luogo a diritto al risarcimento?

16 Feb 2015

Con la sentenza n. 838/2015 la Corte di Cassazione ha sancito che la riproduzione sui media di atti di indagine non è consentita, dal punto di vista penalistico perché integra la fattispecie di cui all’art. 684 c.p., da quello civilistico determinerebbe invece l’insorgere di un danno alla reputazione dell’indagato.

Anzitutto va detto che secondo il codice di rito, gli atti di indagine rimangono secretati e non sono pubblicabili per tutta la durata delle indagini preliminari. Successivamente, ne rimane vietata la pubblicazione sino all’appello, se non per mezzo di riassunti del loro contenuto.

Nel caso in esame, durante le indagini preliminari nei confronti di un noto esponente politico emergeva il coinvolgimento di un ulteriore individuo. I giornalisti, pubblicando estratti degli atti di indagine, informavano il Pubblico delle risultanze di indagine.

Tale ulteriore individuo, esponente di spicco dell’imprenditoria, si riteneva leso dalla pubblicazione delle informazioni e chiedeva il procedersi per i reati di diffamazione, violazione della riservatezza, pubblicazione arbitraria di atti. La Corte di Cassazione, investita della questione dopo due assoluzioni, riteneva sussistente il reato di cui all’art. 684 c.p. per la pubblicazione arbitraria di atti, ritenendo correlativamente sussistente un diritto dell’indagato ad essere risarcito, e rinviava alla Corte d’Appello di Milano per un nuovo esame nel merito della vicenda.

Secondo la Corte, infatti, l’art. 684 c.p. tutela due beni giuridici, il primo di natura personale, id est la reputazione dell’indagato. Il secondo, invece, di natura pubblicistica, inerente il corretto andamento della giustizia e delle indagini.