Spaccio continuato e applicazione della fattispecie della lieve entità
22 Ott 2016
In fatto, l’imputato era accusato di avere ceduto, per una dose alla volta, cocaina in circa 20 occasioni a un consumatore, in 11 occasioni ad un altro, in 3 occasioni ciascuno ad altri 3.
Sebbene condannato in primo grado per l’ipotesi di spaccio di sostanza stupefacente non lieve, all’esito del giudizio di appello la Corte d’Appello riformava la sentenza applicando l’ipotesi di cui al co. 5 Art. 73 DPR 309/90 poichè si trattava di “condotta di cessione a consumatori finali, anche continuativa, ma effettuata con rudimentale organizzazione di mezzi e di persone,” non risultando una diretta partecipazione ad attività organizzative di rilevante pericolosità.
Il provvedimento rileva per l’innovativa interpretazione degli elementi normativi della fattispecie autonoma di cui al comma 5, come residuante a seguito delle ultime modifiche della legislazione in materia. Superando infatti l’orientamento delle Sezioni Unite (secondo il quale secondo il quale “l’attenuante non è infatti concedibile relativamente allo spaccio esercitato in modo continuativo, attività questa cui è attribuibile la diffusione sempre più larga e capillare, della droga e, per ciò, di rilevante pericolosità sociale”), reso nella vigenza della legge che permetteva di individuare nel comma 5 una fattispecie attenuata e non invero una fattispecie autonoma, la Corte d’Appello alla luce del principio di ragionevolezza della pena stabilisce che il come già affermato dalla Cassazione sez. VI (n. 6887 del 17/05/1994) il “fatto di lieve entità” deve essere individuato con criteri interpretativi che consentano di rapportare in modo razionale la pena al fatto, tenendo conto di quel criterio di ragionevolezza (che vale tanto per il legislatore quanto per l’interprete), imponendo l’art. 3 Cost., in materia penale, la proporzione fra la quantità e la qualità della pena e l’offensività del fatto“.