Stalking: il divieto di avvicinamento deve indicare i luoghi oggetto della misura
02 Mar 2015
Lo stalking è un reato che consiste nel reiterare ossessivamente nel tempo condotte vessatorie tipo minacce, ingiurie, molestie, violenze ed indurre la vittima a temere costantemente per la incolumità propria o di chi le sta intorno, ovvero a modificare le proprie condotte di vita per sfuggire al persecutore.
L’art. 612 bis c.p., al primo comma, punisce la condotta di chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita con la reclusione da sei mesi a quattro anni, salvo che il fatto non costituisca più grave reato.
I commi successivi prevedono poi ulteriori aggravanti se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, ovvero a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992,n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
La tutela che solitamente viene approntata nonappena l’A.G. viene a conoscenza del reato, è quella di allontanare il persecutore dalla vittima: non sempre alla querela segue una misura cautelare, ma nei casi più seri il Pubblico Ministero chiederà al GIP di vietare al persecutore di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, applicando la misura di cui all’art. 282-ter c.p.p..
Con la sentenza n. 5664/2015 la Corte di Cassazione si è espressa in tema e proprio con riferimento ai luoghi oggetto del divieto di avvicinamento ha statuito che questi debbono essere indicati dettagliatamente laddove possibile. Se invece il divieto di avvicinamento è generico, dovranno essere esplicitati i comportamenti vietati (i.e.,comunicazione, avvicinamento, sguardo, ecc). La Suprema Corte, infatti, rileva che solo attraverso la determinazione dei luoghi e dei comportamenti vietati consente di dare luogo a controllo ed esecuzione del provvedimento. Nella fattispecie, il ricorrente lamentava l’indeterminatezza della misura, applicata a seguito delle denunce di una donna che sosteneva gravi e reiterate condotte persecutorie nei propri confronti, risoltesi anche in ingiurie e minacce telefoniche, pedinamenti, appostamenti ed aggressioni fisiche.
La Corte di Cassazione, accogliendo parzialmente il ricorso delinea le caratteristiche della misura in oggetto, sostenendo che il provvedimento applicativo debba essere fortemente specifico, al fine di approntare la corretta tutela della vittima e di far conoscere all’indagato i comportamenti che potrà o non potrà porre in essere, pena l’aggravio della misura in una maggiormente coercitiva.