TRA PIAZZALE LOTTO E IL DOTT. DAVIGO: l’avvocato dal 1967

TRA PIAZZALE LOTTO E IL DOTT. DAVIGO: l’avvocato dal 1967

14 Feb 2020

COME È CAMBIATO IL MESTIERE DELL’AVVOCATO

Siamo nel 1967.

Milano, Piazzale Lotto, notte, 1 e 45 di notte, tra il 9 e il 10 febbraio.

Quella notte si consuma uno di quei casi che è passato alla storia della giurisprudenza meneghina.

Nel box di un distributore di benzina lottano due uomini, si odono due colpi di pistola.

C’è stata una rapina. Bottino: novemila lire.

Un uomo esce e se ne va, l’altro resta a terra: morto.

Innocenzo Prezzavento – l’addetto al distributore, padre di quattro figli – ha perso la vita, ma resta una domanda: chi lo ha ucciso?

Dopo 40 giorni di investigazioni e interrogatori viene arrestato un uomo sulla base della descrizione del testimone Italo Rovelli: un biondino di un metro e ottanta, porta il ciuffo, indossa un cappotto marrone e ha una borsa a mano.

L’uomo che sembra corrispondere a questa descrizione è Pasquale Virgilio.

Pasquale è l’assassino ideale: alle spalle ha già due precedenti altre varie vicende giudiziarie … in cui era già stato descritto come un soggetto “di fervida fantasia e non sempre consapevole.”

A nulla è servita la testimonianza della madre di fronte al giudice: “Abbiamo cenato poi è andato di là, io sono andata a letto a mezzanotte e mio figlio ero a letto che dormiva e quando mi alzavo alle 6 per fare la colazione a mio marito che doveva andare a lavoro, mio figlio era casa per dormire”.

Pasquale – portato a San Vittore – viene torturato per ore e finisce per confessare.

In quel carcere trascorrerà 3 anni della sua vita sospeso tra colpevolezza e innocenza, con l’ombra di un ergastolo che non riesce farlo dormire.

Il processo sembra andar delineando sempre più chiaramente una condanna, ma basta un telegramma a cambiare tutto.

«Prego sospendere il processo e attendere mio arrivo a Milano. Chiedo di essere ascoltato onde evitare un errore giudiziario», è l’Avvocato Gian Domenico Pisapia.

L’Avvocato Pisapia chiese di essere ricevuto, ed affermò di fronte al giudice che Pasquale non poteva essere l’assassino del benzinaio, in quanto egli stesso nei giorni precedenti aveva ricevuto un cliente in visita che gli aveva rivelato fatti e circostanze dell’omicidio in Piazzale Lotto.

Alla domanda “Ma allora chi è l’assassino?” Pisapia non diede risposta: lo vincolava il segreto professionale. Ma la necessità di evitare la condanna di un innocente, lo spinse a farsi avanti.

Il principio che governa la sentenza penale è quello del libero convincimento del giudice, dovendo formare la propria opinione su ciò che accade in aula… ma in questo caso accadde l’incredibile.

Le conclusioni della pubblica accusa furono: assoluzione per assenza di prove.  Pasquale fu assolto.

Questo caso rileva per due questioni di centrale importanza del mio lavoro: il segreto professionale e il modo in cui una storia come quella di Pasquale Virgilio non possa essere più essere attuale ai giorni nostri: come è cambiato negli anni il rapporto tra avvocato e giudice? Come è cambiato il mestiere dell’avvocato in sé?

Il segreto professionale

C’è una norma professionale di diritto sostanziale penale che regola il segreto professionale e punisce chi lo viola, ma cosa si intende per violare? Esistono delle eccezioni?

La norma chiaramente stabilisce che l’avvocato affidatario di un segreto consegnatogli dal cliente non può rivelarlo, a meno che non ricorra una giusta causa.

Ma cosa significa una giusta causa? Se un avvocato conosce il nome di un criminale non è tenuto a dirlo all’autorità, ma ove ci sia un’altra persona in pericolo, o ingiustamente accusata, potrà dire “non è lui”, così come ha fatto Pisapia. Non rivelare il nome di chi ha commesso il reato è una faccenda di interesse pubblico, perché tutti quanti noi abbiamo il diritto – in quanto cittadini – di affidare le nostre sofferenze ad un avvocato, con la garanzia che tutto ciò resti nel segreto.

Il problema di fondo è che il segreto professionale può mettere l’avvocato inesperto di fronte a delle scelte morali che implicano in primo luogo la sua coscienza.

Ma compito dell’avvocato non è giudicare. E’ difendere.

E proprio in tema di difesa, la riflessione che tutti noi giovani avvocati ci siamo posti venendo a conoscenza della storia del Biondino di Piazzale Lotto è… ma se ad oggi io venissi a conoscenza dell’innocenza di un uomo che rischia il carcere, verrei ascoltata dal giudice? La mia parola ha la stessa forza di quella di Pisapia nel 1967? Mi basterebbe una frase per fermare un processo?! La mia parola varrebbe per una assoluzione?

La professione è cambiata con gli anni.  Ad oggi il numero degli avvocati è assai maggiore e ogni avvocato fatica non solo a farsi ascoltare, ma anche a dimostrare la propria competenza e professionalità.

Ma ciò che è andato realmente a modificarsi, a sgretolarsi è il rapporto tra il giudice e l’avvocato.

Avevo appena iniziato a lavorare quando il mio Dominus di allora, recentemente mancato, mi disse una frase che mi risuona in testa ogni volta che entro in tribunale (e sono maltrattata dal personale di cancelleria!): “Un tempo il rapporto era tra l’avvocato e il giudice, ora il rapporto è tra l’avvocato e i cancellieri. Abituiamoci”.

In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2020 il consigliere del CSM Davigo ha tenuto un discorso.

La scelta del consigliere Davigo è stata accolta dagli avvocati con non poche proteste.

Il motivo delle proteste non sono solo le idee poco garantiste del Magistrato sui temi attuali della Giustizia penale, ma anche il discredito che ha gettato sulla categoria degli avvocati.

Quando durante il suo discorso 40 avvocati in toga (evidentemente rappresentativi di molti altri) si sono allontanati per protesta, lui ha risposto che erano soltanto 40! Quasi a voler suggerire che QUARANTA avvocati che protestano contro UN magistrato non siano numericamente sufficienti a compensarlo.

Noi avvocati d’altro canto non vogliamo nascondere che – come ben scrive Franco Gianoni ne “Il mio mestiere, l’avvocato”:

“Certo i fatti si sono succeduti in modo vertiginoso e con essi le idee e costumi si sono evoluti, ma anche noi avvocati con la nostra superficialità, arrivismo, abusi, vizi capitali insomma… perché siamo uomini, né più né meno degli altri, abbiamo contribuito al suo discredito agli occhi di molti. Eppure (…) la nostra professione rimane fra tutte una delle più belle e più nobili.  Chi, infatti, meglio dell’avvocato può portare concretamente conforto allo sconforto, e protezione agli interessi quando la meritano, infondendo al tempo stesso il coraggio di continuare nonostante tutto? ”

Oggi il giudice è una figura distante, gli Avvocati hanno difficoltà a intercettarlo, a farsi ascoltare; e viene da chiedersi: ma se a Piazzale Lotto ci fosse stato un magistrato di oggi, la voce dell’avvocato sarebbe stata ascoltata? Chissà… forse quel biondino innocente sarebbe ancora là, a San Vittore?